Mondo

Racconti imprevedibili di gente ordinaria

Giulia Filippi
10 min readApr 1, 2021

Popolazione: 7,85 miliardi (secondo le statistiche di Marzo 2021).

Viaggiare: lo facciamo da sempre, sin da quando il nostro DNA ne ha memoria. Siamo nati dalle stelle, fusioni di galassie. Metà dei nostri atomi proviene da lontano, molto lontano… al di là della Via Lattea.

Abbiamo camminato e costruito mezzi straordinari per esplorare l’intero globo, dalle più profonde acque dell’oceano Pacifico, sino alle montagne più alte: gli 8.000 della Terra; per poi superarle e sfidare la gravità, inabissandoci nel buio del cosmo fino ai confini dell’Universo conosciuto (mediante la sonda New Horizons). Uno degli aspetti più atomici del nostro “andare” è la memoria: un grande deposito, dove conserviamo le informazioni più significative, gli avvenimenti passati: i ricordi.

Qual è il primo ricordo che vi riaffiora di un viaggio?

Aprite la porta, scendete lungo la scala a chiocciola, è buio.

Allungate la mano in alto a sinistra, troverete una cordicella: tiratela. La lampadina si è accesa, davanti a voi lunghi corridoi di librerie in ebano nero. Guardatevi attorno, che cosa vedete?

Ci sono scaffali con oggetti buttati alla rinfusa, altri colmi di libri rilegati in foglia d’oro, catalogati uno a uno in ordine alfabetico. Proseguite… alla vostra destra qualcosa di riflettente cattura la vostra attenzione: centinaia di bottiglie di vetro impolverate, ampolle, cilindri, capsule in porcellana, provette color arcobaleno; non sono gli attrezzi dimenticati di Marie Curie, ma i contenitori della vostra Memoria Olfattiva. Qui sono imbottigliati l’odore della salsedine delle vostre vacanze al mare, il profumo del fieno e dell’erba leggermente seccata dal sole di agosto, un tripudio di narcotici gelsomini sbocciati nelle tiepide sere di maggio. E poi la cannella fumante delle vostre tisane natalizie, il profumo polveroso dello zucchero a velo, troppo abbondante sulla vostra prima torta paradiso; l’odore dell’astuccio di scuola, impolverato dalla polvere di matite, cera di pastelli e bucce di gomma da cancellare.

C’è una bottiglia opaca, piccolissima, nascosta nell’angolo in basso a destra: è ghiacciata. Mettetevi i guanti di lana e togliete il tappo di sughero solo per un momento… inspirate, le vostre narici vibrano, l’aria è di vetro, cristallina: è il profumo della neve, accompagnato da un leggero odore di sottobosco. Richiudetela subito prima che svanisca.

Più avanti s’intravede un’area semi nascosta sprovvista di luce, sembra un’area proibita, protetta da una struttura composta di sbarre di ferro. Cercando una porta si scorge solo una piccola serratura, l’ingresso è qui, ma serve una chiave per entrare. C’è un tavolino al centro, con una sedia bombata in velluto verde, sopra un giradischi con una scritta sbiadita: Memoria Uditiva.

Allungando la vista si scorgono montagne di dischi in vinile, esposti e intitolati uno a uno a penna su un’etichetta bianca; riuscite a vedere solo alcuni delle migliaia:

“Il canto delle cicale in luglio”.

“Lo schioccare della ciabatta sul sedere (Ahia!) ”.

“Il tuffo a bomba in piscina”.

“Il cinguettio degli uccellini all’alba”.

“Le campane della Messa domenicale”.

“Risate di bambini”.

“Il trapano del dentista”.

Riportando gli occhi sulla serratura emerge timidamente una minuscola scritta posta proprio sotto la toppa: Si apre al ricordo delle voci.

(Si dice che le voci siano i primi ricordi a scomparire).

Un riflesso di luce appena accennato illumina le assi di legno del pavimento, girando l’angolo, i vostri occhi sono cullati da file di lanterne di carta dipinte a mano. Percorrete il corridoio fino a fermarvi davanti a un vicolo cieco, siete arrivati ai Ricordi Visivi: una maestosa cassettiera in lacca rossa e nera, alta 32 metri (al momento), lunga 365 cassetti per ogni ripiano, separato solo da minuscole foglie finemente decorate. Potete aprire qualsiasi cassetto vi venga in mente di aprire: alcuni sono molto facili da tirare, scorrono velocemente sui binari, come se avessero fretta di essere aperti per poi velocemente essere richiusi. Altri sono molto duri: cigolano, grattano; bisogna fare un notevole sforzo per tirarli, fino ad avere paura di romperli.

Settimo Ripiano “1995

Cassetto n. 316

Le sere di Novembre erano tutte uguali: il pavimento di granito marrone aveva le stesse macchie nere di tutte le altre sere, freddo come ogni altra sera. Il divano in tessuto blu ricamato di fiori neri era lo stesso di ogni sera, ma con qualche lacrima in più. L’orologio segnava, ogni sera, la stessa ora: le 19:00. Ora di cena? No. L’ora di telefonare a papà. Le ore “sette” erano il fatidico momento in cui smettevo di piangere e telefonavo all’albergo di Pechino, in Cina.

Ora locale: 02:00 del mattino.

“Hello”

“Hello, how can I help you?”

“Per favore, posso parlare con Roberto Filippi? Stanza numero 205”.

“Certamente, attenda solo un momento”.

“…”

Ogni giorno indossavo lo stesso grembiule bianco, le stesse scarpette blu con gli strappi a fiorellini, per andare alla stessa scuola governata dalle stesse suore tutti i santi giorni. Ma quei dieci minuti di conversazione con papà, dall’altra parte del Mondo, erano gli unici minuti composti di differenti secondi in cui ogni sera (per me), e ogni notte (per lui), mi raccontava qualcosa di nuovo:

📷 C’è una sola autostrada che collega l’aeroporto internazionale di Pechino con la città. L’unica autostrada di tutto il paese è spazzata a mano, ogni giorno, con scope di paglia.

📷 I cinesi si spostano solamente in bicicletta, le uniche auto esistenti appartengono ai diplomatici e ai soldati dell’esercito, contraddistinte da due sole targhe di due colori diversi. I bus pubblici invece hanno una targa di un altro colore.

📷 Piazza Tienanmen oltre a separare l’antica porta della Pace Celeste dalla Città Proibita, a volte è usata anche come ingresso per l’Aldilà… mentre mi trovavo a Pechino, ci fu un’esecuzione: alcuni trafficanti di droga (così ci riferirono), furono giustiziati con colpi di pistola dietro alla nuca. Qui la pena di morte è un segreto di Stato, il codice penale fa venire i brividi.

📷 In Cina c’è una sorveglianza di massa, il cittadino non è una persona libera, non può votare, l’unico potere esistente è esercitato dal Partito Comunista che detiene l’esercito numericamente più grande al mondo.

📷 Il colore rosso rappresenta la potenza cinese: la bandiera nazionale è rossa. Il giorno del matrimonio le spose non si vestono di bianco, ma di rosso. Rosse sono le lanterne che adornano i villaggi di legno antico. Rosse sono le decorazioni utilizzate per le festività e gli eventi.

📷 Ho preso subito dimestichezza a mangiare con le bacchette (le posate devono essere richieste). Non mi sono mai abituato invece, a vedere i cittadini al mercato dei serpenti scegliere il loro pasto “vivo”, per poi attendere che venga “preparato” al momento: inchiodato, squartato e servito in un sacchettino, come una manciata di patatine fritte d’asporto…

📷 Non ho nemmeno mai avuto il coraggio di assaggiare scorpioni essiccati, nidi di rondini e lunghissimi spaghetti di soia: i noodles. I cinesi li arrotolano sulle bacchette e quelli non finiscono mai di uscire dalla scodella, sono lunghi almeno un metro! Li chiamano “Spaghetti di lunga vita”, più lunghi sono quelli che si riescono a mangiare in un colpo solo, più lunga sarà l’aspettativa di vita della persona che li mangia. Poi ho scoperto che, in realtà, quelli che vedevo non erano una moltitudine di spaghetti, ma un unico e interminabile noodle.

📷 Tra i vari piatti tipici assaggiati: involtini di cavallette giganti, cane in umido, serpenti in brodo… il più disgustoso è stato, senza alcun dubbio, l’alga di mare: amarissima, una schifezza unica! Tant’è che l’ho sputata all’istante. Il più buono invece: l’anatra laccata alla Pechinese, un piatto dalla storia secolare risalente al 1.330.“Laccata” perché prima della cottura, viene spennellata con uno sciroppo dolce a base di miele. Infine glassata con una salsa agrodolce e piccante: la salsa hoisin.

📷 Le farmacie più antiche della Cina a Hangzhou, hanno nomi impronunciabili come: Yezhongdetang e Huqingyutang. Vecchie più di mille anni, ancora oggi confezionano e vendono droghe naturali, tè verde, radici di ginseng e decotti della medicina tradizionale cinese.

📷 Questa mattina i miei piedi hanno camminato lungo una delle sette Meraviglie del Mondo: la Grande Muraglia Cinese, un lunghissimo serpentone di mattoni e muratura lunga 8.851 chilometri, vecchia più di 2.000 anni, alta fino a sette metri e mezzo. Si srotola tra le montagne del nord della Cina avvolgendo una parte di Pechino come una collana d’argento. Emerge maestosa tra le foglie color rosso, oro, giallo e arancione dell’autunno. Impiegabile davanti a Fei Lian, Dio del vento. *E’ l’unica opera costruita dall’uomo visibile dalla Luna!

*(credenza poi smentita negli anni, con conseguente delusione di mio padre).

📷 Non mi sono mai sentito così straniero, così diverso, come in questo Paese. I cinesi si fermano a guardarti, alcuni timidamente vengono ad accarezzarti il viso, increduli e sorpresi nel vedere lineamenti diversi dai loro.

📷 Da Pechino abbiamo attraversato in treno immense distese di campi di riso e cotone. I contadini protetti da cappelli conici di paglia e incurvati per la raccolta, lavorano 12 ore il giorno, il riposo non è contemplato. La loro pelle è scura, non di porcellana come quella dei cinesi di città.

📷 La chiamano Venezia d’Oriente per i suoi 350 ponti di pietra: Suzhou, la città giardino. Costruita lungo le rive del Fiume Azzurro, qui sono custoditi i giardini più belli della Cina, decorati con ponticelli, pagode, laghetti, canali e rocce. Tutto in perfetta armonia. Qui si trova il Giardino dei 1.000 bonsai, un tempio per questi piccoli alberi in miniatura. Quando passeggi qui, la quiete ti entra dentro…

📷 Volevo vedere la produzione di una delle fibre tessili più antiche della Cina: la seta. Ho visitato una fabbrica di 8.000 dipendenti, le donne avevano le mani rovinate a causa del frequente processo di immergere i bossoli dei bachi in acqua bollente. L’edificio era attorniato da alberi di gelso, le cui foglie erano mangiate dai bachi. Poco lontano c’era una Comune che ospitava i figli dei dipendenti della fabbrica, anche bambini piccoli di due anni. I cinesi non hanno tempo per crescere i loro figli, devono lavorare, lavorare e lavorare…

📷 I lavoratori dipendenti hanno i primi 5… ripeto… 5 giorni di ferie dopo 10 anni di lavoro! Robe da matti!

📷 I bambini piccoli non portano il pannolino, ma una fessura nei pantaloncini, dove al momento del bisogno espellono il prodotto in qualsiasi luogo si trovino…

📷 Shanghai: la finestra della Cina sul Mondo sta crescendo vertiginosamente. C’è un edificio alquanto bizzarro: la torre della televisione, la più alta della Cina con i suoi 468 metri; in netto contrasto con il resto della città sembra provenire dal futuro. La struttura è costituita da tre grandi sfere collegate da tre colonne, nella seconda sfera, a 263 metri di altezza, c’è un ristorante che ruota su se stesso a 360° permettendo una vista completa sulla città. Ci sono 10 milioni di abitanti qui! 10… milioni!!

📷 La città di Xi’an deve la sua fortuna a un contadino che scoprì, scavando un pozzo, l’ottava Meraviglia del Mondo: l’Esercito di Terracotta. La costruzione dell’armata di guerrieri cinesi fu commissionata dal primo imperatore cinese Qin Shi Huang per proteggere il suo corpo e la sua anima dopo la morte. Gli 8.000 guerrieri sono tutti diversi l’uno dall’altro, avvicinandoti vedi chiaramente meticolosissimi dettagli: le acconciature, le vesti, le armature e le scarpe sono tutte differenti in base ai ruoli e ai ranghi ricoperti.

📷 Atterrare a Hong Kong, al Kai Tak: l’aeroporto più terrificante al Mondo, per i piloti è una missione, per i passeggeri una conquista, per l’aereo una corsa agli ostacoli.

Incastonato nel centro abitato della città di Kowloon, a poca distanza dalle colline alte sino a 600 metri, l’aeroporto è dotato di un’unica pista: la numero 13/31, lunga solamente 3.390 metri sporge letteralmente nel mare. Nel mio caso, un TriStar a tre motori ha sfiorato i palazzi e i grattacieli. Ho visto le persone stendere il bucato sui tetti… ho visto le persone guardare la televisione nei loro minuscoli appartamenti.

E quando pensi che l’incubo sia finito, l’aereo compie una brusca virata per allinearsi alla pista, solo che a metà percorso il carrello non ha ancora toccato il suolo. Quando finalmente le ruote fischiano, le preghiere s’intensificano: era la seconda volta che atterravo al Kai Tak… era la seconda volta che pregavo le divinità cinesi di non finire in mare.

📷 Trattare un acquisto con un cinese non sempre può essere un’esperienza piacevole. A Hong Kong ho abbassato troppo il prezzo di un obiettivo per la mia macchina fotografica Nikon. Sono stato letteralmente buttato fuori dal negozio… poco dopo sono rientrato e l’ho acquistato lo stesso. Sorridere al proprietario non è servito ad addolcire il suo sguardo poco amichevole.

📷 La pietra di giada è il simbolo di onore e virtù del popolo cinese, il colore varia dal verde acqueo al verdastro, proviene principalmente dai fiumi. Secondo le credenze popolari questa pietra dura è un prezioso talismano portafortuna, i cinesi di tutte le classi e categorie la indossano per proteggersi dalle disgrazie e dagli spiriti maligni.

📷 Sono rimasto ammaliato dalla bellezza della baia di Hong Kong, affollata da caratteristiche barche tradizionali cinesi: le giunche e i sampan. Le prime, utilizzate principalmente per il commercio e la pesca hanno degli elegantissimi scafi di legno di giunco e vele rosse ricurve, sembrano dei dragoni che danzano sull’acqua. Molti pescatori invece vivono nei sampan: piccole imbarcazioni di legno cinese dal fondo piatto, fanno quasi tenerezza rispetto alle giunche.

Siamo saliti su un sampan per andare a mangiare nel ristorante galleggiante più grande al Mondo, praticamente un mastodontico palazzo imperiale cinese che galleggia, l’unico posto dove ho mangiato bene in Cina.

Mio papà tornò… varcò la porta di casa portando con sé un po’ di Cina: collane di giada, bacchette di legno nero incise con ideogrammi rossi, timbri a forma di guardiani imperiali: i leoni. Una scatolina rossa contenente un set di pregiati pennelli per la calligrafia, dalla punta finissima. Inchiostro di china composto di fuliggine a forma di bastoncino. Quadri dipinti su seta, vestaglie di seta, un grazioso ombrellino di carta oleata (le mie zie fecero quasi a botte per accaparrarselo), statuette di avorio (allora non si conosceva il terribile commercio nascosto dietro a quelle minuziosissime opere d’arte).

Giocai per mesi con quegli oggetti, annusando il profumo denso dell’inchiostro, accarezzando le incisioni delle bacchette. Le fotografie nutrivano la mia curiosità con immagini di statue di pietra minacciose e hutong dall’architettura decorativa. Quegli edifici erano luoghi inimmaginabili, così diversi da quelli a cui ero abituata. Vedevo il sorriso di mio padre stampato in quei lucidi contenitori di vita: le fotografie. C’era qualcosa di magico e malinconico in quei ricordi. Ascoltavo le sue storie con la bocca spalancata per lo stupore, immaginando avventure intoccabili nella Città Proibita.

Si spalancò così il portone spesso e solido del viaggio, si aprì piano piano, facendo filtrare la luce nelle pupille, scaldando la mente e facendo scorrere nelle arterie l’insaziabile sete della scoperta.

“Che cosa c’è dall’altra parte del Mondo?”

📷 Un milione di lire fu l’importo della bolletta del telefono, arrivata due mesi dopo il ritorno di mio padre dalla Cina. Fu l’ultima volta che partì da solo per un viaggio.

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